Bravo Mario Scappaticcio. Per me, sei stato qualcuno.

Mario Scappaticcio è ai saluti.
Ieri quelli dell’Emma Villas gli hanno fatto la festa d’addio. E se non avessi avuto da fare, ci sarei voluto essere anch’io.A salutarlo come merita.
Perché di pallavolo me ne intendo poco e (per quanti sforzi faccia) non riesco ad appassionarmi come vorrei: ma di quello sport, Scappaticcio è probabilmente l’atleta che ha saputo emozionarmi di più. Un campione (sissignore, campione) che, emotivamente, metto quasi al pari di quella generazione che vinceva tutto negli anni 90. Con la differenza che Zorzi, Bernardi e Lucchetta appartenevano ad un’altra, lontana, galassia; e cara grazia vederli ogni tanto in televisione.
Mario, invece, l’ho visto a due metri di distanza. Ed è stato un piacere.
Ne ho avvertito il sudore, ho ascoltato le sue urla e gli incoraggiamenti ai compagni. Ho potuto apprezzare la smorfia di delusione nel momento caldo della partita, e il “cinque” liberatorio dopo un bel punto conseguito.
Una volta l’ho persino intervistato, in un momentaccio. Alla fine di una delle partite più orrende della storia dell’Emma Villas, quando dovevano fare un sol boccone di Spoleto in gara uno, e invece ne uscirono spianati. Gli feci una domanda un pò spiritosa, tanto per sdrammatizzare: lui mi guardò malissimo e per poco non mi tira un ceffone. Bastò quello per capire che Chiusi avrebbe ribaltato la situazione nelle due partite successive (come infatti avvenne).

E’ stato un simbolo, questo ragazzo napoletano che tanto ha dato (e molto ha ricevuto) nella sua permanenza tra Chiusi e Siena.
Non tanto un simbolo nel senso di “bandiera” (tre anni sono pochi, ed Emma Villas è una realtà ancora troppo “giovane”), quanto per la sua valenza emotiva… Arrivò a metà stagione perché non erano contenti del palleggiatore che avevano: potevano accontentarsi di meno, avendo già in squadra Romani e Braga, Di Marco e Bittoni. Invece, presero il meglio sulla piazza.
Come dinamica, mi ricordò l’adorato Trevor Francis, quando arrivò alla Samp nell’estate dell’82. Anche quello non fu solo un acquisto: fu un segnale agli avversari. Come dire, “Occhio, che stiamo facendo sul serio”.

Non so cosa farà adesso Mario.
Quando si è competitivi anche a 42 anni, si perde un po’ il senso dell’orientamento. La tentazione di spostare il paletto un centimetro ancora più avanti è forte: come il povero Elviro, che a mezzanotte (quando cascavano tutti dal sonno) era lesto a riagguantare il mazzo di carte e ricominciava a distribuirle: “Facciamo l’ultima, e poi tutti a letto”, diceva.
Non so se, per lui, sia ora di andare a letto. Sappiamo però che qualsiasi cosa deciderà di fare, la svolgerà bene. Giocatore, allenatore o dirigente.
E lo farà con serietà e con talento.
E con stile.

Bravo Mario Scappaticcio.
Per me, sei stato qualcuno.